STORIE DI ALESSANESI ALL’ESTERO: Ilenia Torsello

STORIE DI ALESSANESI ALL’ESTERO: Ilenia Torsello

 GIORNALE DI PUGLIA

Home » Cultura e Spettacoli , Intervista » 8 marzo: da Alessano al Qatar, inseguendo Brahms e Mozart

di FRANCESCO GRECO

   DOHA (Qatar). “La musica e’ da sempre stata parte di me, della mia famiglia e i miei antenati”. Per la serie “Cervelli in fuga”, oggi, 8 marzo, festa internazionale della donna, raccontiamo la storia di Ilenia, che partendo dal Sud, Alessano (Lecce), il paese del grande direttore d’orchestra Paolo Falcicchio, con un pentagramma e un trolley, sta girando il mondo (oggi vive a Doha, in Qatar), ed è felice così.

DOMANDA: Cominciamo dagli inizi?
RISPOSTA: “Da bambina cantavo nel coro Cantalessano promosso dall’A.P.A (Associazione Promozione Alessano), ma il vero contatto con uno strumento lo ebbi quando un giorno, vedendo la custodia del sassofono di mio fratello, mi incuriosii e approfittai della sua assenza per provare a suonarlo.
Poche note, alcuni tentativi di intonare una melodia che mio padre Luigi, di orecchio fino, sentì immediatamente dicendomi: Non sapevo che suonassi il sassofono! Che ne dici se andassimo a fare una lezione di prova alla scuola di musica?”.
D. Tutta colpa di un sassofono, quindi?
R. “Detto, fatto: senza saperlo, quella frase, pronunciata d’istinto, segnò per sempre la mia vita. Dopo un No poco convinto da parte mia, mio padre insistette, e da lì iniziò un’avventura che dura tuttora”.
D. E quindi andò a prendere lezioni?
R. “Iniziai a studiare il clarinetto e a esibirmi nella banda del paese con i miei coetanei. Guadagnai i primi soldini e mi sentivo in qualche modo indipendente e motivata a fare sempre meglio dal momento che la competizione era tanta”.
D. Ma gli orizzonti le andavano stretti…
R. “A 19 anni decisi di iniziare uno studio più professionale e che potesse darmi un titolo, così con molti sacrifici cominciai a frequentare il Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari. Ma continuai a vivere al mio paese. Nel frattempo lavoravo come decoratrice presso un negozio di ceramiche”.
D. Ma non era soddisfatta, o no?
R. “Tre anni passarono in fretta e l’insoddisfazione era tale da spingermi a cercare altri orizzonti. Succede a 20 anni quando si hanno tanti sogni e per realizzarli c’è la grande città dove la musica è considerata parte fondamentale della vita culturale”.
D. E quale era il sogno di Ilenia?
R. “Da sempre affascinata dal Teatro alla Scala di Milano e dalla Filarmonica, decisi che non ci sarebbe stata città migliore per soddisfare la mia bramosia di musica.
Fui ammessa al Conservatorio di Milano, dove ho avuto una formazione completa sulla musica e il mio strumento e un’immersione totale nel mondo musicale della città. Ricordo ancora il giorno in cui ascoltai il primo concerto al Teatro alla Scala tra ori e zecchini e il suono bellissimo dell’orchestra che riempiva la sala e inevitabilmente vennero giù le prime lacrime di commozione.
Venivo dalla banda di paese e mi ritrovai catapultata in una metropoli e nel Conservatorio più prestigioso d’italia.
Un impatto forte. Ho cercato di farmi apprezzare ed emergere in questo ambiente molto competitivo. Ero orgogliosa e avevo anche una reputazione da difendere: quella del Sud.
Noi meridionali, si sa, non siamo così ben visti al Nord. Quindi ancora di più volevo dimostrare il mio valore.
Così arrivarono le prime soddisfazioni, i concerti in orchestra, ensembles e poi la laurea. Finalmente un primo traguardo raggiunto! L’emozione fu tanta quando dal palco vidi la mia famiglia lì per me, a supportarmi in uno dei giorni più importanti di questo cammino. Ma soprattutto vedere la soddisfazione sul volto di mio padre che da bambina mi ha portato fin lì fu un’emozione forte”.
D. Ma c’erano altri step in vista…
R. “Ancora presa dalla voglia di studiare e migliorarmi, continuai gli studi con la specialistica.
Un giorno, passando per i corridoi del Conservatorio, notai un poster che recitava così: Vuoi venire a studiare in America? L’audizione era indetta per il giorno 23 marzo 2010. Mi sono detta: Perché no? Proviamo! Non ho nulla da perdere”.
D. Poi cosa accadde, volò verso gli USA?
R. “Quel giorno ci presentammo in 20. Tutti cercavano di farsi valere sul palco per essere selezionati. Dopo la mia esibizione eseguita con tranquillità e nervi saldi, restai in attesa dei risultati insieme agli altri candidati.
Un membro della giuria mi si avvicinò esclamando: Signorina, prepari le valigie, lei va in America!!!. Cosa? Io? In America?, dissi. Si, lei ha vinto la borsa di studio!”.

  1. Chiamò subito mamma Ilenia Melcarne, a Alessano, nel negozio di copisteria Microchips?
    R. “Ancora incredula, presi il telefono: Mamma, devo dirti una cosa! In pochi mesi, quella che sembrava una cosa impossibile si trasformò in realtà”.
    D. Da piazzetta S. Pio agli States…
    R. “Approdai a New York nell’agosto 2010 senza conoscere la lingua, avendo solo delle reminiscenze dalle scuole medie, che servirono veramente a poco. Il primo mese fu faticoso per la comunicazione. Quando nessuno capisce la tua lingua, la voglia di imparare diventa vitale!
    Mi ritrovai in un campus gigantesco dove per spostarsi da una facoltà all’altra bisognava usare l’autobus. Un’Università super organizzata, dove ho avuto modo di fare esperienze musicali incredibili, ma soprattutto di vita.
    Ho dovuto imparare a cavarmela perché non avevo scelta. Avevo sempre con me il mio piccolo dizionario che all’occorrenza sfogliavo per cercare di comunicare con questo nuovo mondo attorno a me.
    E’ difficile fare amicizia con uno straniero, soprattutto se parla poco la lingua locale e non sta agli scherzi.
    Mi armai di una forza di volontà fuori dal comune e ogni sera, dopo giornate di studi, ero lì al computer a studiare la grammatica e il vocabolario.
    Non potevo accettare di essere giudicata in modo errato solo perché non ero in grado di esprimere concetti complessi. Diventai brava, tanto da riuscire a raccontare barzellette in inglese ai miei compagni di scuola.
    La mia coinquilina fu un grande aiuto e supporto perché studiava l’italiano e molte volte mi spiegava gli slang che solo un americano può capire.
    Mi ritrovai alla fine del mio periodo di studi in America parlando l’inglese americano e con tanti amici con i quali ho stretto un legame incredibile e sono ancora in contatto tuttora”.
    D. La ragazza che tornò in Italia era un’altra?
    R. “Ritornai a Milano con un grosso bagaglio culturale. Quell’esperienza mi aveva cambiata per sempre. Dopo tempo mi ritrovai anche a fare da interprete quando uno dei docenti americani venne a Milano per tenere un seminario. Tutti si meravigliarono nel sentirmi parlare e nel vedere uno dei benefici di quel periodo trascorso all’estero.
    Ripresi la vita da studente in Conservatorio e dato il successo e i feedback positivi giunti dalla scuola americana, mi proposero di inviare la domanda per frequentare un altro semestre in una delle Università all’estero convenzionate col Conservatorio”.
    D. Ancora valigie?
    R. “Tra le preferenze indicai la città natale di Mozart, uno dei miei compositori preferiti. Sarebbe stato un sogno vivere ed essere ispirati dalla città del genio salisburghese. Trascorsero pochi mesi e la mia domanda fu accettata. Rifeci le valigie. Stavolta andavo in Austria, molto più vicino rispetto all’America…”.
    D. Ma lì si parla tedesco…
    R. “Conoscevo una lingua in più rispetto a un anno prima, ma non il tedesco. Così, non appena arrivata, iniziai un corso per imparare almeno le basi. Ma per fortuna c’erano tanti italiani e stranieri che come me parlavano l’inglese. Questo sarebbe stato il mio ultimo periodo da studente, pensavo, e poi avrei concluso la mia laurea specialistica.
    Studiavo il programma del mio esame finale e mi divertivo a suonare nei gruppi di musica della scuola. Ho avuto modo di conoscere celebri figure del campo musicale e di farmi ascoltare da loro. Dopo l’esecuzione di un brano con il mio quartetto d’archi durante una lezione con uno dei più grandi violinisti viventi, ricevetti un complimento che ricordo tuttora: Hai reso la mia giornata memorabile, disse Rainer Schmidt dopo aver ascoltato il quintetto per clarinetto e archi di J. Brahms. E’ un pezzo che adoro e sta particolarmente a cuore a me e al mio docente di clarinetto a Salisburgo che durante il concerto di noi studenti a scuola mi disse: Tu suonerai alla fine, perché dopo Brahms non c’é più niente da dire…”.
    D. Altra partenza?
    R. “Il giorno era arrivato. Andai a salutarlo, lo trovai nella sua aula, al buio, immerso nell’ascolto della sua musica. Mi abbracciò dicendo: Du bist eine grosses musikerin/ Tu sei una grande musicista.
    Non riuscii a contenere le lacrime. Quell’addio è stato difficile, quella persona mi aveva dato tanto musicalmente e mai lo avrei dimenticato.
    Tornai ancora a Milano, dove conclusi la mia laurea specialistica e con essa tutte le positive esperienze degli anni milanesi”.

D. Avvincente come un romanzo, e poi?
R. Adesso arrivava la parte difficile, trovare un lavoro. In questi anni da studente avevo svolto diverse mansioni: da cameriera a lavapiatti a operatore di call-center, etc.
Ma adesso, con i miei titoli di studio, era difficile trovare qualcuno che mi accettasse per fare un lavoro semplice perché quei titoli pesavano troppo sul mio curriculum”.
D. Non mi dica che si riscrisse il cv…
R. “Decisi di toglierli perché mangiare era più importante e non potevo gravare ancora sui miei genitori. Così trovai un altro lavoro e nel frattempo continuavo a studiare in autonomia per cercare di vincere un posto in orchestra.
Dopo un anno trascorso così, decisi di tornare a vivere ad Alessano e concentrare tutte le mie forze nello studio. Dopodiché pensai che per avere accesso nella scuola come docente avevo bisogno di un titolo specifico per la didattica. Così feci l’ammissione al Conservatorio della Svizzera Italiana a Lugano.
Iniziai un altro percorso di studi che si sarebbe concluso dopo 2 anni, ma che dava più possibilità di lavoro sia in Italia che in Svizzera. Era l’ultimo tentativo, l’ultima carta da giocare. Mi trasferii in Svizzera. Iniziai una formazione eccezionale e mi impegnai al massimo per fare quanti più esami possibili durante il primo anno, per poi avere più tempo da dedicare alla tesi l’anno successivo.
Questo anno molto impegnativo si era quasi concluso, quando decisi che era il caso di trovare un lavoro estivo in Svizzera e almeno guadagnare qualcosa visto i costi altissimi della vita”.
D. Nella vita si inizia sempre da zero…
R. “Tra un colloquio e l’altro, un giorno notai un post di lavoro che un amico aveva condiviso su Facebook: Cercasi insegnante di strumenti a fiato in Qatar, per info contattare.. etc…
Aspetta, cos’é che cercano? E dove poi? In Qatar? Dov’é il Qatar? Andiamo a vedere sulla mappa, mi sono detta…”.
D. Ancora valigie?
R. “Dopo qualche momento di esitazione, ho pensato che valeva la pena provare. Cercavano la mia figura in una scuola prestigiosa. In passato avevo studiato anche il sassofono e il flauto traverso, e magari avrei potuto superare questa selezione…”.
D. Da quelle parti sono pragmatici…
R. “Infatti. Inviato il cv, ricevo una loro risposta il giorno stesso. Sono interessati. Intanto mi documentavo sul paese, lo stile di vita, etc. Dopo pochi giorni, arriva l’offerta di lavoro. Prendere o lasciare. Caspita, in Qatar? Ma ci pensi? Come glielo dico a mio padre? In fondo era stato lui ad avermi iniziato alla musica, adesso dovrebbe essere contento, pensavo.
Dopo aver fatto le mie considerazioni, accetto la loro offerta e dopo alcuni giorni mi mandano il visto e il biglietto aereo a loro spese”.
D. A casa come la presero?
R. “Uno shock per la mia famiglia che mi vedeva ancora come una ragazzina. Andavo in un paese sconosciuto, arabo, con una cultura diversa dalla nostra.
Arrivo in Qatar il 23 agosto 2015. Si apre il portellone dell’aereo, ore 23:00, 43 gradi! E’ stato come aprire un forno! Un caldo indescrivibile, nonostante l’ora notturna. Questo e’ stato il primo shock.
Durante le prime settimane, ho dovuto ambientarmi e fare i conti con i 50 gradi diurni. Forse è l’unica cosa alla quale non ci si abitua.
Un altro impatto forte lo si ha con la cultura araba. Si notano da subito persone del luogo che vestono con abiti tradizionali: lunghe tonache bianche per gli uomini (chiamate thobe) e nere per le donne (abaya). Queste ultime sono coperte dalla testa ai piedi e alcune di loro coprono anche interamente il viso indossando un velo molto leggero e le mani con i guanti. Tutto rigorosamente nero.
Un’altra cosa che all’inizio suscita stupore è il richiamo del Muezzin che dal minareto invita tutti i fedeli a prendere parte alla preghiera. Risuona 5 volte al giorno a partire dalle prime ore dell’alba. In quel momento tutti i minareti sono sincronizzati e in tutta la città si diffonde il suono delle loro voci. Un forte effetto. Persino la radio è sintonizzata. Soprattutto durante la preghiera del venerdì (il loro giorno sacro) tutto si ferma. I negozi, ristoranti, centri commerciali, tutti, chiudono per un’ora per permettere a tutti di pregare.
Oltre all’impatto della cultura araba, si ha un impatto con tutte le altre. La capitale, Doha, e’ un mix di etnie, culture, modi di vestire e di vivere. Anche l’inglese subisce delle variazioni a seconda dell’interlocutore. Il paese è in continua crescita e la migrazione dall’Europa è un processo inarrestabile. Nonostante questo, il paese è in ordine, controllato e la criminalità è pari a zero. Sì può lasciare tranquillamente l’auto con le chiavi attaccate e qualsiasi altra cosa in vista nell’abitacolo, ma nessuno si permetterà di rubare niente. È un paese sicuro, dove una donna non ha paura di andare in giro da sola a qualsiasi ora perché sa che non le succederà niente. Le donne sono molto rispettate. In tutti gli uffici c’è una sala d’attesa apposita e per qualsiasi cosa le donne hanno la precedenza. Piccoli dettagli che fanno pensare. La comunità italiana è una delle più numerose. Più di 3000 italiani sono assunti qui dalle migliori aziende di costruzioni, scuole e non solo.
La mia scuola è stata la prima a essere fondata in città 38 anni fa ed è in continua espansione. E’ in progetto il nuovo campus che vedrà il Doha college, con i suoi 90.000 metri quadri, come la terza scuola più grande del mondo e io non posso che essere orgogliosa di farne parte.
Un’altra bellissima cosa che accade in Qatar, e mi auguro anche in altri posti, è vedere come nella scuola non ci sia distinzione di razza e colore, siamo tutti uguali, ma tutti diversi e insieme celebriamo la bellezza della diversità. Io ho 40 studenti che provengono da tutto il mondo (Inghilterra, Spagna, Francia, America, India, Indonesia, Thailandia, Pakistan, Iraq, etc) e dai quali imparo ogni giorno qualcosa di nuovo. Grazie a questo lavoro mi sento finalmente realizzata e ho l’opportunità di tornare spesso in Italia e nella mia amata Alessano”.

 

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